Recensione del Thriller "La Voce della Morte" e Intervista ad Andrea del Castello
A cura di Manuela Moschin
Recensione “La voce
della morte”:
“La voce della morte” non è un semplice thriller, ma è molto di più. È un libro che intitolerei “Lezioni di vita” perché lancia dei messaggi profondi nei confronti dei peggiori mali che stanno imperversando il mondo.
Non vi parlerò della trama, ma al termine dell’intervista troverete la sinossi. Vorrei soltanto esprimere le emozioni e le sensazioni che ho provato durante la lettura.
In primo luogo sono rimasta affascinata dai dialoghi. Andrea è riuscito a commuovermi e a divertirmi. Credo che per uno scrittore non sia semplice ricercare le battute adatte a far rallegrare il lettore e nello stesso tempo indurlo alla riflessione profonda.
Incomprensioni familiari, vizi, disperazione, dolore, paura, rassegnazione, amore per il prossimo, amicizia, senso di giustizia, l’amore per la famiglia, tradimento, sono stati trattati con grande perizia.
La narrazione è chiara e precisa. Gesti e azioni dei personaggi mi hanno fatto vivere la scena riuscendo a farmi immedesimare nelle situazioni.
I personaggi sono talmente ben delineati che alla fine del racconto ne senti la mancanza. La figura che ho preferito è quella del commissario Cani, che apparentemente si presenta come una persona insensibile e scorbutica, ma che in realtà ha dimostrato di possedere doti preziose.
Le circostanze della vita hanno indurito il suo cuore, ma nel profondo della sua anima rimane una persona pacata che di fronte ai dilemmi da risolvere si sofferma a riflettere:
“Invece Giorgio Cani era fuori a fumare. E a riflettere. I raggi del sole tornati a splendere dopo la nebbia uggiosa dei giorni precedenti gli fecero fare una strana smorfia di sofferenza. Si mise spalle al sole e tirò forte dalla sigaretta che teneva tra indice e medio con il pugno semichiuso. Guardò il cielo azzurro, di un colore così intenso che solo la stagione fredda poteva colorare.”
Intervista:
Ti ringrazio di cuore per aver accolto la mia richiesta. Prima di parlare del tuo libro “La voce della morte” ti pongo alcune domande per scoprire in quale modo hai raggiunto la tua carriera di scrittore:
- Quando hai cominciato a scrivere? Cosa scrivevi all’inizio?
Per diletto e per passione la scrittura ha accompagnato da sempre le varie fasi della mia vita. Una svolta importante è arrivata con gli studi universitari, perché ho cominciato a scrivere con un fine professionale. La laurea in Conservazione dei beni culturali con indirizzo musicologico mi ha portato ad approfondire gli studi umanistici, poi confluiti nella pubblicazione di due libri interdisciplinari e vari articoli. Invece da qualche anno a questa parte mi sono concentrato sugli studi letterari e le tecniche narrative. Così nel 2017 ho pubblicato “Come si scrive un thriller di successo” e l’anno scorso ho esordito come autore di thriller.
- A quale genere letterario appartengono i libri che leggi o che hai letto in passato?
Leggo di tutto. Il modo migliore per essere uno scrittore preparato è conoscere quanti più generi e autori sia umanamente possibile. Nelle mie pubblicazioni di saggistica puoi trovare riferimenti a Flaiano, Apollinaire, Shakespeare, Manzoni, Stoker, Amis, come pure a Raymond Chandler e ad Agatha Christie. Insomma, spazio dai grandi classici alla poesia fino alla narrativa contemporanea. Per fare un esempio recente, ho curato una raccolta di racconti di tredici autori diversi con cui abbiamo rivisitato in chiave moderna i miti delle “Metamorfosi” del poeta latino Ovidio. Uscirà a luglio con il titolo “Miti e delitti”. Sembra strano per un autore di thriller, ma amo perfino la letteratura latina e la contaminazione tra generi anche all’apparenza disparati. Il problema è trovare il tempo necessario per leggere quanto vorrei.
- Come nascono le storie che racconti?
Cerco di coniugare passione e razionalità. Le storie avvincenti devono lacerare l’anima, ma vanno narrate con un minimo di tecnica e mestiere. In particolare penso che il thriller sia uno di quei generi per i quali bisogna trovare il giusto equilibrio tra fantasia e rigore logico.
- Ora parliamo del libro: i personaggi sono tutti ben caratterizzati. Se consideriamo, per esempio, il commissario Cani, sin dalle prime pagine, non desta molta simpatia. Si presenta come una persona dal temperamento burbero e prepotente. Proseguendo poi con la lettura, la sua arroganza, combinata a un forte senso dell’umorismo, lo rendono un uomo abbastanza gradevole. Mi ha divertita una serie di battute ironiche che il commissario ha scagliato sfacciatamente contro il dottor Poldo. Credo che non sia semplice per uno scrittore riuscire a far conciliare la tragicità con la comicità. Come ci sei riuscito?
Rappresento la vita per quello che è: gioia e dolore, riso e pianto, bontà e cattiveria, momenti di ilarità alternati a momenti drammatici. La peculiarità del thriller è la capacità di trasmettere emozioni così intense da far rabbrividire. Ecco, ho cercato di trasmettere ogni tipo di emozione che la vita ci dona.
- Una delle problematiche sociali che hai trattato riguarda le slot machine, una questione a parer mio sottovalutata, ma che si sta diffondendo mandando in rovina moltissime persone. Ho una specie di repulsione per le macchinette mangiasoldi e apprezzo, pertanto, la tua vicinanza nei confronti di questa piaga sociale. Il tuo libro, a questo punto, risulta una sorta di monito al fine di sensibilizzare la società che, tendenzialmente, sminuisce questo grande problema. Dal momento in cui hai elaborato l’idea per scriverlo hai desiderato concentrare l’attenzione nei confronti di questi disagi?
Sì, in Italia la spesa per le slot si aggira attorno ai 50 miliardi di euro l’anno. E se da un lato ci sono persone che si dedicano al gioco per puro intrattenimento, dall’altro ci sono molte altre persone che invece si rovinano. In quel caso l’azzardo diventa una droga legalizzata che fa danni economici e di salute simili a quelli causati dalla droga tradizionale. Ho dedicato uno dei primi capitoli alla sfuriata del protagonista nei confronti della moglie che vuole accettare un’offerta di lavoro in una sala slot. Certo, Giorgio Cani è un tipo possessivo e prepotente, non vuole che la moglie trascuri la casa e la famiglia. Ma soprattutto non vede di buon occhio quegli ambienti. In effetti ogni vizio può essere pericoloso e “La voce della morte” mostra sia i vari vizi della società odierna, sia i pericoli che essi comportano.
- Alla fine del tuo libro ho notato che hai dedicato un ringraziamento a Romano De Marco e uno a Mirko Zilahy, che tra l’altro apprezzo moltissimo e ho avuto la fortuna di conoscere. Ci racconti un po’ della tua predilezione per questi grandi autori?
A loro sono molto legato. Qualche anno fa ero solo un loro ammiratore, ora siamo amici. La cosa mi gratifica come persona e come addetto ai lavori. Come autore, la lettura dei romanzi di Romano De Marco mi ha stimolato a caratterizzare i personaggi mediante una rappresentazione viscerale dei sentimenti. Ricordo che la prima volta che avvertii il desiderio di scrivere un thriller, stavo leggendo “L’uomo di casa”. E neanche a farlo apposta, proprio qualche giorno fa ho letto “Nero a Milano”, l’ultimo capolavoro di De Marco. Per quanto riguarda invece Mirko Zilahy, per me è tra i contemporanei quello che incarna la mia idea di letteratura, l’ambizione a trasformare con consapevolezza il linguaggio della comunicazione in linguaggio artistico. “La voce della morte” è piena di ispirazioni e omaggi più o meno espliciti alla trilogia romana di Zilahy. Ma in generale penso che ogni autore debba essere una spugna e che il risultato di ciò che scriviamo sia una combinazione tra l’estro soggettivo e la formazione che abbiamo sviluppato con le nostre letture e le nostre esperienze personali.
- Stai scrivendo un nuovo libro? Puoi anticiparci qualcosa?
Avrei vari progetti in cantiere, ma mi giungono quotidianamente richieste da parte dei lettori per una nuova avventura di Giorgio Cani e della sua squadra. Questo calore del pubblico mi ha indotto ad avviare la stesura del sequel de “La voce della morte”.
- C’è qualcosa che non ti ho chiesto ma che ci tieni a dire?
Voglio ringraziare tutti i lettori e gli addetti ai lavori come te che parlano del mio libro con passione ed entusiasmo. Non mi aspettavo tanto clamore per questo esordio, perciò sto cercando di trasformare la vostra energia in un impegno sempre maggiore in quello che faccio. Ad esempio, ho creato un format innovativo per le presentazioni e mi impegnerò a fondo per la stesura del prossimo libro che spero possa essere all’altezza delle vostre aspettative.
Ti ringrazio davvero di cuore per le tue parole. Se parliamo del tuo libro con "passione ed entusiasmo" è tutto merito tuo.
Congratulazioni ancora e attendo impazienti il sequel.
Biografia
Andrea Del Castello è direttore artistico di Giallovidio e collabora con il Festival delle Narrazioni. Tiene corsi di scrittura creativa ed è saggista per riviste accademiche italiane e straniere. Ha pubblicato vari libri sui diversi ambiti delle discipline umanistiche. Tra le sue opere più recenti, ha ottenuto ottimi riconoscimenti il saggio “Come si scrive un thriller di successo”. In uscita a luglio la raccolta di racconti curata per Lupi Editore “Miti e delitti. 13 metamorfosi 13 autori 13 storie”.
Sinossi
Il Male ci seduce con la falsa promessa di proteggerci dalle nostre paure. Ognuno di noi può combatterlo oppure può arrendersi, come Roberto Desideri, che muore nella sua auto nel parcheggio di una discoteca. Sembra una brutta storia di alcol e droga, fino a quando il commissario Giorgio Cani non decifra un messaggio che si nasconde dietro il delitto.
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Andrea Del Castello autore del thriller "La voce della morte" |
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